Colombia 2015. Diario di viaggio – 1/3

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Giovedì 6 agosto.

In 11, giovani e adulti di Torino, Brescia, Milano e Genova – sotto l’egida dell’associazione IMPEGNARSI SERVE – partiamo alla volta della Colombia. Il programma prevede la visita a diverse Missioni dei Padri della Consolata situate nei punti più “caldi” del Paese (e non solo dal punto di vista climatico…) per entrare nel vivo delle varie realtà locali e capire come eventualmente collaborare per sostenerle (anche semplicemente facendo conoscere la loro situazione).

Atterriamo a Bogotà e, giusto il tempo di dormire qualche ora, ripartiamo subito per Florencia,  cittadina di 150.000 abitanti alle porte della foresta amazzonica. È il 7 agosto e si celebra una festa nazionale: gli abitanti mostrano la loro esuberanza, musica a tutto volume in ogni dove, bancarelle improvvisate, parate di aquiloni.

Da qui, su un taxi che va parte spedito lungo una strada dissestata, raggiungiamo, grazie a Dio incolumi,  Puerto Arango. È qui che inizia l’avventura più emozionante: si entra nel cuore della foresta amazzonica, dove i fiumi sostituiranno le strade, le lance veloci gli autobus, le canoe i taxi… Ci tuffiamo in un altro mondo, più essenziale, più primitivo se si vuole, ma con un fascino tutto particolare.

Raggiungiamo Solano solcando a 50 Km orari il Rio Orteguasa fino alla sua confluenza nel Rio Caquetà, uno dei più grandi fiumi della Colombia che dà il nome a tutta la regione e che confluirà a sua volta nel Rio delle Amazzoni. Di tanto in tanto qualche villaggio di capanne si affaccia sul fiume: per il resto la vegetazione offre uno spettacolo mozzafiato.

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A Solano ci accoglie Padre Giuseppe Cravero, parroco e missionario cuneese in Colombia da moltissimi anni: i suoi racconti e la sua esperienza ci aiuteranno a capire dal di dentro la cultura locale, i drammi di un popolo ancora ferito, le problematiche legate alla foresta, alla coltivazione della coca, alla guerriglia, alle minoranze indigene e agli indios in particolare.

Qui, per le quotidiane e forti piogge, il terreno è paludoso e, per la consuetudine di lasciare asini e cavalli liberi sulla strada, il fango si impasta con lo sterco: gli stivali di gomma, che acquistiamo subito sul posto svuotando i pochi bazar, saranno un tutt’uno con noi per tutta la permanenza…

Lunedì 10 agosto.

Partiamo in canoa con Padre Ferney alla volta di una vereda: si tratta di raggruppamenti di case, a volte anche molto distanti tra loro, che si snodano lungo i corsi d’acqua addentrandosi anche nella vegetazione un po’più fitta. In questi luoghi la coltivazione della coca è abbastanza diffusa, anche se legalmente vietata: 1 kg di pasta di coca consente al campesinos un guadagno pari ad un vitello di due anni (ma il consumatore finale la pagherà 40 volte tanto..), mentre la produzione del cacao è più faticosa e molto meno redditizia, “La trasformazione dalla coca al cacao – ci spiega – è un percorso lungo che richiede una nuova cultura, educazione, volontà di studiare, fatica di lavorare, impegno duro su tutta la filiera. La coca, per contro, a fronte di un guadagno facile e immediato, crea vedove, orfani, povertà, cultura di violenza. I progetti in questa direzione devono essere per forza a lungo termine. Bisogna partire dalla coscientizzazione e dall’educazione dei giovani.”

Sbarcati a Puerto Carmen ci inoltriamo a piedi e a cavallo in mezzo alla foresta per raggiungere le “finca” (tipiche fattorie della foresta) che ci ospiteranno nei prossimi giorni. La marcia non è semplice: si tratta di camminare in una palude scivolosa, attraversare ponticelli sospesi e pericolanti, cercare di evitare tratti di vere e proprie sabbie mobili: si  capirà dallo stato degli abiti che pochi di noi ne escono indenni…  Arriviamo alla  finca che è quasi sera e, non potendo proseguire oltre, ci accampiamo tutti.

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Ceniamo con i padroni della fattoria che ci offrono una squisita ospitalità. La notte, stesi su copertine che ci vengono offerte, non sarà proprio tranquilla: prima il grugnito dei maiali, poi il pianto del bimbo che ha l’influenza e, quando finalmente stai per riprendere sonno, il canto dei galli (che qui si svegliano molto presto e fanno a gara a chi canta più forte…). Alle 6.15, appena spuntato il sole, il padrone si alza ed è sveglia per tutti!

Colazione a base di riso e boruga (un roditore tipico dell’America del Sud che arriva a pesare fino a 12 chili), quindi raggiungiamo una nuova finca. Ci aspettano Cristina e Raniel (un vero “cowboy”, proprio come quelli che si vedono nei film). Producono anche il formaggio e, con orgoglio, Raniel ci mostra un piccolo impianto a pannelli solari che garantisce l’elettricità alla fattoria: una rarità da queste parti… Come nelle altre fincas l’acqua per gli alimenti è quella piovana raccolta in grandi contenitori. L’acqua corrente qui non è ancora arrivata, ma la vita è dignitosa, semplice, essenziale: nulla di paragonabile a quella delle baracche della città, dove la miseria è visibile.

È bello poter condividere con queste persone semplici e dignitose il loro modo di vivere: ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati e ricchi ad avere nelle nostre case l’acqua potabile, la luce elettrica, i servizi igienici… eppure dobbiamo ammettere che queste persone sono felici: sanno apprezzare ciò che hanno e ne vanno fieri.

Ma viene anche in evidenza un problema: i campesinos utilizzano la legna del bosco per cucinare e questo comporta a poco a poco un disboscamento della foresta. Sarebbe bello poterli aiutare ad acquistare lampade solari (alle 6 di sera il sole cala ed è buio pesto) e, in prospettiva,  pannelli solari per alimentare cucine elettriche, cellulare e altro di prima necessità.

L’indomani si riparte per tornare alla base. Ci accompagnano due cavalli che possiamo cavalcare e una mula per gli zaini. Sul fiume, come al solito, ci fermano i militari con i loro mitra spianati. Arrivati a Solano la doccia – dopo tre giorni in cui non ci laviamo – è quanto di più agognato e i nostri miseri servizi ci sembrano da hotel a 5 stelle!

Giovedì 13 agosto.

Ieri sera e nella notte aerei militari hanno sorvolato per parecchio tempo il territorio: è per far sapere che ci sono…..

In mattinata raggiungiamo in canoa Puerto Mercedes. Il villaggio è composto da una serie di case molto povere, ma con le caratteristiche di un paesino normale: c’è il bar, la “boutique”, il bazar, la discoteca, …  Anche qui fango dappertutto, le strade sono guadi. Un lungo camminamento ci conduce all’altra parte del villaggio dove ha sede la scuola. Conosciamo gli insegnanti: tutti molto motivati, alcuni insegnano nei villaggi più sperduti del comprensorio. I ragazzi più lontani si fermano qui a dormire, altri vengono da soli a cavallo anche percorrendo un’ora di strada: tra questi un bimbo di 7 anni che mi mostra il suo cavallo posteggiato nel prato della scuola…

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Per il pranzo siamo invitati nella casa di un catechista. In Colombia, ci spiegano, tutto si ottiene con la forza, con il “tubo”, sia da parte governativa che da parte della guerriglia. Senza questo metodo – secondo molti – la popolazione sarebbe ingestibile. Solo la Chiesa adotta un altro stile, quello della formazione delle coscienze e del dialogo con tutti, ma con risultati molto lenti e non immediati.

Marisa Anselmo

…..to be continued….

 

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